“LAVORARE SUL MOTIVO”

0 0 Febbraio 15, 2015

intervista di
Sandro Ricaldone

BALESTRINI
Centro d’Arte e Cultura
Albissola Marina

Luglio 1994

S.R. – Si direbbe che nel tuo lavoro si dispieghi una sorta di poetica della riscrittura, che si eplica da un lato sul registro riflessivo della conferma memoriale e agisce, dall’altro, sulla leggerezza – ai limiti dell’impalpabile – dello scarto creativo.

GENNAI – Si, anche se i momenti della percezione memoriale e della ri/creazione, che tu distingui, sono per me un tutt’uno, s’inseriscono in un processo inscindibile, di appropiazione, o forse – per dir meglio – di assaporamento di certi elementi visivi.

S.R. – Come le architetture degli Spazzi pisani.

GENNAI – Appunto. Od anche richiami pittorici, motivi ornamentali. Ma, ed è questo che soprattutto mi preme chiarire, senza indulgere alla maniera citazionista, semmai con un movente empatico.

S.R. – che d’altronde controlli con grande rigore.

GENNAI – Diciamo: che ho appreso a controllare. Nei primi tempi del mio interesse per la pittura, al contrario, mi accadeva di seguirlo in modo quasi smaccato. Ho iniziato (tardi, verso i ventanni) copiando, letteralmente, I quadri che mi piacevano.

S.R. – la tua formazione, quindi, si è svolta al di fuori dei canali canali accademici.

GENNAI – No, poi ho sentito il bisogno di acquisire delle basi tecniche, una disciplina. Ho iniziato. Ho iniziato a frequentare la scuola a Brescia, durante il servizio militare e l’ho terminata a Pisa. Per un po’ di tempo, a Firenze, ho seguito I corsi dell’Accademia. Ma mi sentivo fuori posto, avvertivo nei colleghi forse un eccesso di presunzione e ho preferito, a quel punto, lavorare per conto mio.

S.R. – Affiorava già la tematica degli Spazzi pisani?

Gennai – Solo in parte. Erano degli interni, per lo più silhouettes femminili colte dinanzi ad una finestra. Probabilmente, considerando la cosa retrospettivamente, l’aspetto più importante può essere identificato nel tema della finestra, con la caretteristica di porsi come limite e, al tempo stesso, come apertura; con la sua trasperenza, che allora risolvevo secondo una modalità illusoria.

S.R. E che nei tuoi lavori ultimi, realizzati in tela e garze sovrapposte, si è trasformata in un dato reale.
GENNAI – Esattamente. C’è però in quel lavoro, che risale alla prima metà degli anni ’70 un’altra componente di un certo rilievo per gli sviluppi successivi.

S.R. – Vale a dire?

GENNAI – L’uso del profilo, del contorno, in primo luogo, E’ un risvolto che si ripresenterà sia negli Spazi pisani che negli stendardi e nelle Tarsie. Poi il fatto che queste figure non erano trattate realisticamente, ma riempite di colore, di una macchia cangiante che a finito per invadere il quadro.

S.R. – E’ un tratto dissonante, mi pare.

GENNAI – Rispetto al mio lavoro attuale, si, direu. Anche perchè il colore era intenso, mobile diversissimo dalle campiture uniformi e dai Toni attenuati di cui mi sono valso in seguito.

S.R. – Come si è verificato questo trapasso?

GENNAI – Non so dirti come e perchè. Posso attestare solo che si è trattato di un’evoluzione abbastanza lenta, lungo tutta la seconda metà degli anni ’70. Un’evoluzione che si è tra l’altro conclusa in maniera paradossale, con il riemergere di frammenti di figure all’interno della stesura cromatica informale che, come accennavo, in precedenza aveva debordato dalla figura stessa, cancellandola dal dipinto.

S.R. -In seguito questi frammenti di figure sono stati inseriti in uno spazio strutturato architettonicamente.
GENNAI -Si, negli Spazi pisani veri e propri, che ho iniziato a realizzare nel 1980 ma ho esposto a Firenze w a Pisa sono due anni più tardi.

S.R. – Andrea Del Guercio, presentando queste mostre, evocava la metafisica ferrarese di De Chirico.

GENNAI – Fatte le debite proporzioni…

S.R. – Effettivamente vi si riscontra un’aura come sospesa ma insieme venata di tensione che si può riconoscersi analoga a quella delle Piazze d’Italia. E mi sembra anche giusta l’altra osservazione di Del Guercio che forse riferendosi al tono cromatico, parla di una pittura “intenerita all’ombra della poesia morandiana”.

GENNAI – Alla luce di quel che è venuto dopo credo di poter dire che si trattava di affinità più che altro esteriori.

S.R. – C’erano però altri riferimenti di stampo dechirichiano. Il “recupero del museo”, ad esempio, nella citazione di ambienti o di particolari tratti dalle statue di Giovanni Pisano.

GENNAI – Vedi, in quel momento, all’Università, studiavo proprio l’arte di Giovanni Pisano. C’era, da parte mia – come prima accennavo – un accostamento empatico, un’introiezione di queste opere che, del tutto naturalmente e non in applicazione d’un “meccanismo del pensiero” elaborato a freddo, riaffioravano nel mio lavoro. Al di là di questo assorbimento, la presenza di ambiti e frammenti pisani era motivata – semmai – da intenti polemici.

S.R. – In che senso, scusa?

GENNAI – Nel senso di un’utopia rovesciata. Volevo una città diversa e ne identificavo la traccia nel passato.

S.R. – E’ la tesi anacronista di Rusario Assunto, l’”antichità come futuro”.

GENNAI – Si, ma senza valenze di tipo neoclassico.

S.R. -Ad ogni modo, questo ciclo si è chiuso abbastanza presto, se non sbaglio proprio nel momento in cui lo esponevi.

GENNAI – Nonostante il successo, se così lo vogliamo chiamare, gli Spazzi pisani mi parevano un tema senza senza sbocchi. Forse ripetersi è indice di raffinatezza, forse è vero quel che afferma Caillois nel Vocabolario estetico, che nell’arte non c’è progresso nè esaurimento; però non mi sentivo, non ero interessato ad applicare una formula. Cosi, dopo quasi un anno di riflessione, invece di andare avanti ho creduto meglio di prendere una via laterale.

S. R. – Con gli stendardi.

GENNAI – Appunto. Non ti nascondo, comunque, che ho avuto molte esitazioni prima di uscire con quel lavoro.

S. R. – Perché?

GENNAI – Per via delle obiezioni che mi venivano mosse dagli amici, critici e artisti, cui lo facevo vedere. Le reazioni erano : gli si imputava generalmente un decorativismo eccessivo.

S. R. – Ma una tendenza decorativa attraversa tutta l’arte contemporanea, E l’eccesso in questa direzione è stato il punto di forza di questi gruppi, anche recenti, come quello degli americani riuniti, negli anni ’70, sotto l’etichetta di Pattern Painting. O – per esempio legati a modelli islamici – di Novollet e, ai giorni nostri, di Philip Taaffe.

GENNAI – Hai ragione, ma devi tener conto anche del clima nostro in quegli anni, in cui se decorazione c’era si travestiva sotto I pastiches della Transavanguardia e prevalevano la pittura selvaggia o neoinformale. A me, peraltro, la decorazione non mi interessa in quanto tale, ma perché mi offre una terza via tra quelle, che pure ho sperimentato, nella forma pura e della rappresentazione.

S. R. – In altre parole, modellando il tuo lavoro sull’esempio degli stendardi moreschi conservati nella chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri, eviti un’astrazione fine a se stessa, totalmente priva di riferimento, senza per contro farti schiacciare, o per lo meno condizionare in misura troppo vincolante, da quest’ultimo.

GENNAI – Precisamente. Ed occorre tener presente un’altra circostanza, casuale ma nel contempo basilare gli stendardi da cui prendevo le mosse erano visibili soltanto durante le funzioni. Andavo là allora, guardavo e in studio ricostruivo il disegno, talvolta con l’aiuto di uno schizzo. Il colore poi lo rielaboravo, riducendo i toni. Rispetto al modello si ricreava questo diaframma memoriale, s’insinuava uno scarto, l’inperfezione.

S.R. – Non si trattava quindi di un calco, alla maniera della Pittura Colta, sia pure in versione orientale.
Piuttosto si potrebbe ripescare la formula delunziana della ripetizione differente.

GENNAI– Nemmeno. Era soprattutto un “lavorare sul motivo” in una prospettiva tutto sommato molto personale, con un minimo di apertura all’azzardo. Non tacerei inoltre la presenza – in queste bandiere – di elementi simbolici (stelle, mezzelune, spade e via dicendo) che introducono una dimesione o per lo meno una risonaza ulturiore. Una mia personale dell’87 s’intitolava appunto Oggetti esoterici.

S. R. – Gli Stendardi vengono esposti nell’85. Come hai superato le incertezze alle quali alludevi?
GENNAI – Se un lavoro ti convince finisci sempre col metterlo alla prova. A parte questo, ricordo una visita di Viana Conti che, vedendo gli Stendardi, mi parlò di un testo che stava scrivendo, una specie di storia artistica delle bandiere, di cui non ho più saputo nulla, ma che allora diede stimolo alla mia ricerca. Che ebbe poi uno sviluppo inizialmente inprevisto, con l’uso di supporti non intelaiati, per una ragione del tutto contingente.

S. R. – Ossia?

GENNAI – Dovevo esporre a Genova, allo Spazio Paradigma, con Pergiogio Colombara. Lui gentilmente mi lasciò l’ambiente più vasto, che era anche molto alto. Pensai subito a lavori grandi, stendardi veri e propri, anche nella misura. Trasportare telai di quelle dimensioni sarebbe stato difficile e costoso. Così dipinsi su strisce di tela da poter portare arrotolate.
S. R. – Il che corrispondeva alla natura del modello che avevi scelto.

GENNAI – E infatti contribui non poco al buon esito dell’allestimento.

S. R. – In seguito, però, ti sei attenuato a formati più ridotti.

GENNAI– Si, anché ero passato a sconporre le bandiere, a lavorare sul particolare, sul frammento, così come più tardi, quando mi dedicavo alle Tarsie ( che possono considerarsi un’ideale prosecuzione degli Stendardi), dissolvendo l’unità del campo pittorico, estrapolavo dall’originale taluni elementi, rendendoli anche fisicamente autonomi l’uno dall’altro, per ricomporli da ultimo in una specie d’installazione murale.

S.R. – Altro motivo squisitamente pisano, le Tarsie.

GENNAI – Abastanza enigmatico, anche. Silvano Burgalassi le studia da anni per chiarire I significati.
Per me rappresentano comunque sopratutto uno spunto formale, uno schema da decostruire e riassemblare.

S.R. – Come negli ultimi lavori, dove la scomparsa del colore ha messo a nudo la trama del supporto, in tela inframmezzata di garza, e l’immagine – che consta di una forma ritagliata e del contorno – è distesa su due piani ravvicinati.

GENNAI – Si, cè questo gioco fra positivo e negativo, l’ambiguità fra il tendenziale azzeramento che, viste frontalmente, certe opere propongono e il riaffiorare delle forme guardate in tralice.

S.R. – E le scatole, in cui da ultimo presenti I tuoi lavori?

Gennai – Sono una sorte di cornice, con una profondità maggiore e qualche opportunità aggiuntiva: di relazione speculare, ad esempio. Indispensabili d’altronde per un adepto, tardivo o addirittura postremo, quale io sono dell’arte portatile.

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